Quando si approccia la discussione di un’opera pubblica così importante come la costruzione di un nuovo ospedale, si cerca di farlo in modo responsabile e soprattutto il più possibile scevro da qualsiasi presa di posizione territoriale. Lo studio di fattibilità e l’area individuata per la realizzazione del nuovo polo sanitario crea però non pochi interrogativi. Da una parte, a Carpi, troviamo il vecchio ospedale Ramazzini: una struttura vetusta, non competitiva in tema di innovazione e tecnologie e, soprattutto, non più in grado di garantire adeguati servizi al passo con i tempi. Durante l’emergenza covid abbiamo visto ammalarsi diversi operatori sanitari all’interno del nosocomio carpigiano, dove perfino un diritto fondamentale come la privacy nel triage del Pronto Soccorso viene meno. Dall’altra parte abbiamo Mirandola e l’intera Area Nord con una popolazione che supera gli 85mila abitanti, la quale non può accontentarsi della cosiddetta medicina di comunità e delle attività ospedaliere in regime di day hospital. Come è possibile pensare di fornire un servizio sanitario efficiente e tempestivo a 25 kilometri di distanza con infrastrutture dissestate e con arterie tra le più trafficate dell’intera provincia? Dopo un’attenta analisi e valutazione dei limiti legati all’idea dell’ospedale baricentrico tra Carpi e Mirandola, Fratelli d’Italia avanza una proposta per valorizzare il terzo ospedale della provincia per favorire la rete tra provincie limitrofe. L’area individuata per il nuovo nosocomio carpigiano è appena 10 kilometri da Correggio (RE), già dotato di un piccolo polo ospedaliero, ma molto lontano dal capoluogo reggiano. Perché quindi non valutare la possibilità di un polo integrato, se non addirittura un unico centro ospedaliero interprovinciale? Ripensando concretamente a viabilità e infrastrutture che permetta di incorporare la realtà reggiana.
Ciò che emerge dopo il covid è che sulla salute pubblica non si può continuare a giocare al risparmio, si tratti di persone o di strutture. E le istituzioni hanno il dovere di interpretare la realtà che cambia, la società che muta e invecchia e, di conseguenza, diviene più fragile. John Donne diceva: “Nessun uomo è un’isola, completo in sè stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.” Non possiamo quindi arrivare ad una soluzione efficace se non abbiamo il coraggio di aprire l’angolo di inquadratura per avere una visione completa e più larga possibile, senza mai dimenticare le specificità territoriali, le parti del tutto appunto.